sabato 31 gennaio 2009

Mush-up e remix come forme d'arte - RomaEuropa FakeFactory

Qualche giorno fa ho accennato alla risposta ufficiale ricevuta dagli organizzatori del concorso Roma Europa Web Factory in merito iniziativa "Freedom for remix" lanciata dall'amico Marco Scialdone assieme ad Oriana Persico, DegradArte ed altri.
Il RomaEuropa di cui si parla è un concorso d'arte che non contempla mush-up e remix al punto di vietare la partecipazione di opere realizzate con tali tecniche, ma che acquisisce sulle opere presentate tutti i diritti ... compreso quello di remixarle e farne mush-up!
Bene, l'iniziativa di risposta alla risposta è quantomai pertinente: un concorso organizzato da Salvatore Iaconesi, Oriana Persico e Marco Scialdone e appoggiato in poco tempo da moltissime associazioni.
Un fake contest in cui mush-up e remix sono la regola: le opere presentate dovranno contenere un minimo di rielaborazione di opere presistenti, ovviamente le cui licenze di distribuzione lo permettano.
Le categorie di opere possibili sono le tre già previste dal concorso targato Fondazione RomaEuropa-Telecom, 100cuts - VideoArt, 100samples - Musica, 100quotes - Letteratura, cui si aggiunge una nuova categoria, la LawArt, che riguarda la creazione di testi giuridici sul diritto d'autore.
Giovedì mattina è andata in onda la puntata di Codice Binario, trasmissione radiofonica condotta da Massimo Melica, dedicata al fake contest (podcast scaricabili da qui).
Nel suo blog Marco si augura che prima o poi i due contest convoglino in un unico concorso, e io mi associo.
Per ora, chissà, magari provo a concorrere nella quarta categoria ...

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venerdì 30 gennaio 2009

smau business 09 Bari - as promised

Come avevo promesso, ecco le slide del breve speech sui nomi di dominio che ho tenuto ieri pomeriggio alla Fiera del Levante di Bari, in occasione di smau business 2009.

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venerdì 16 gennaio 2009

Eleanor Rigby


Eh no, stavolta non è bionda.
Almeno non lo è nella interpretazione che Mary Ann Farley ne da nel suo dipinto.
Poi chissà!
Quel che è certo è che raccoglieva il riso in una chiesa, dopo un matrimonio, e che la melodia della sua solitudine è nota a una moltitudine.
Se la solitudine può essere intesa anche come un rapporto privilegiato con se stessi, come una scelta consapevole, quella di Eleanor, che muore sola, ad un funerale a cui nessuno va ...
Può darsi anche che a lei ora non importi d'essere conosciuta e celebrata universalmente attraverso la musica che i Beatles le hanno dedicato nel 1966 (una Eleanor Rigby è esistita davvero, ed è sepolta nel cimitero della chiesa di St. Peter, a Liverpool, dove John Lennon e Paul McCarteny si conobbero).
Nè di essere il brano più conosciuto di Revolver, l'album dei Beatles che la rivista Rolling Stone ha messo al terzo posto nella classifica dei più grandi album rock di tutti i tempi.

Chissà Eleanor, se sapesse tutto questo, cosa penserebbe della decisione presa dal governo britannico un mese fa (e che dovrebbe essere discussa ed approvata in questi giorni) di estendere la durata del copyright sulle registrazioni fonografiche da 50 a 70 anni. Lei, che nel 2016 sarebbe caduta in pubblico dominio e la cui solitudine avrebbe potuto passare per ogni radio, essere oggetto di mushup e remix, senza problemi ... e farla sentire meno sola!

Il copyright è "la linfa vitale dell'economia creativa" che "stimola gli investimenti nel talento musicale" e "incoraggia l'innovazione"!!!! (Geoff Taylor, BPI). E Andy Burnham, segretario alla Cultura del Governo Britannico e portavoce dell'iniziativa "ma c'è un'ulteriore ragione morale: non vedere la propria opera associata ad una causa o a ad un marchio con cui non si è a proprio agio".
Non è difficile intuire chi ci guadagnerà davvero da tutto questo ... e chi (e cosa) ci perderà!

Mi viene in mente, fra l'altro, la risposta ufficiale ricevuta da Romaeuropa Web Factory in merito all'iniziativa lanciata dall'amico Marco Scialdone assieme a DegradArte poco prima di Natale: modificare l'art. 8 del regolamento del concorso che non ammetteva fra le opere attività di mashup e remix, non considerando che la maggior parte delle forme d'arte oggetto del concorso usino prevalentemente tali tecniche.
E nella risposta si legge, sostanzialmente: "Sarebbe troppo difficile analizzare quali opere siano in regola - nel senso della normativa sul diritto d'autore - e quali no. Abbiamo preferito lavarcene le mani."

Così, se da un lato le nuove licenze, che in alcune loro forme permettono, oltre l'uso libero, anche mushup e remix, risultano essere di troppo complicata esplorazione (!), dall'altro un pubblico dominio evidente (in questo decennio sarebbero diventate di pubblico dominio tutte le prime registrazioni dei Beatles e degli Stones) diventa sempre più una chimera.

"Il copyright incoraggia l'innovazione" ... e la chiamano arte!

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mercoledì 14 gennaio 2009

Tre gocce di Chanel (N° 5), diamanti e bollicine


Bionde, ancora bionde.
Bionde famose, bionde chiaccherate.
Chissà cosa penserebbe uno psicanalista di una che su 4 post in croce pubblicati sul suo blog parla due volte di bionde ... non essendo mai stata bionda.
Però il mio profumo è chanel N° 5, mi piacciono i diamanti (sfido qualsiasi donna a dire il contrario, anche se non disdegno neanche i rubini) ... e adoro le bollicine!
A far ghiotta l'occasione infatti non sono stati nè le bionde, nè i profumi, nè i diamanti.
Galeotte furon le bollicine!
Essì, perchè quando leggo che "Tutti copiano le bollicine italiane" mi viene in mente Antonio che la notte di Capodanno mi dice (per l'ennesima volta): "Sarò un'incompetente, ma a me lo champagne non piace".
Queste le sue considerazioni sulle bollicine.
Le sue considerazioni che mi vengono in mente proseguendo nell'articolo, in cui si parla della bionda e nuda Paris Hilton dipinta d'oro come testimonial di RICH Prosecco, credo sia meglio censurarle.
E' per la questione del mettere il prosecco in lattina, che avete capito!

Mentre mi interrogo sul perchè mai il Giornale abbia inserito nel titolo la parola copyright mentre in realtà è di IGT (Indicazione Geografica Tipica) che si parla, cosa ben diversa, mi vengono in mente due cose.
Una è un'altra bionda famosa e chiaccherata, a cui piacevano le cose preziose e le bollicine, e le cui immagini di lei nuda hanno fatto storia, in molti sensi.
L'altra è il perchè non compro il Giornale e mi limito a leggerlo on line quando qualche keyword me lo restituisce nella SERP ... ma questa è un'altra storia!
Per cui, anche in considerazione del fatto che ho in corso un certo approfondimento sul diritto dell'immagine e sul suo sfruttamento commerciale con l'amico e collega Marco Scialdone, mi capita una volta in più di soffermarmi sulle bionde.

Perchè è noto ai più che l'immagine della bionda Marilyn sia stata pubblicata nelle più molteplici versioni, oggetto di opere importantissime a partire da Andy Warhol a finire alle fotografie di Bern Stern.
E dico finire solo perché ha non più di un paio di giorni la notizia della chiusura della diatriba sulle ultime foto nude scattate a Marilyn, sei settimane prima di morire, tra Bern Stern e altri due fotografi, Michael Weiss e Donald Penny (chiusa a favore di Bern Stern).
Ma se ne potrebbero portare mille di esempi.
Per non parlare delle innumerevoli imitazioni cabarettistiche, teatrali, cinematografiche.
Marilyn si era creata un'immagine così caretterizzata e così incisiva che era (ed è!) difficile:
non aver desiderato almeno una volta, anche per solo per vezzo (l'abito bianco che si alza sul condotto d'areazione) di emularla;
non essere riconoscibili quando si cerca di farlo.

Paris Hilton nuda come testimonial di un vino.
Marilyn nuda come testimonial (e addirrittura sull'etichetta) di un vino ... anzi due.
Eh già, perchè all'epoca (2006) il fotografo che deteneva i diritti di sfruttamento commerciale di quell'immagine di Marilyn, terminato il periodo per cui era stata concessa la licenza d'uso a quella determinata cantina, pensò bene di cedere la licenza d'uso della stessa immagine ... a un'altra cantina! La quale a sua volta la utilizzo come etichetta.
Qui si che centrava il copyright!
Meglio, qui marchi (e in particolare trade dress) e copyright si mischiavano pericolosamente.
L'agente di Marilyn aveva concesso alla prima cantina l'uso per i suoi vini del marchio registrato Marilyn Monroe. Il fotografo la licenza d'uso di quell'immagine di Marilyn.
Però, ad un certo punto, per la prima cantina si era esaurito il periodo di licenza sull'immagine che aveva usato per uno dei suoi vini, e la seconda cantina aveva acquistato licenza sulla stessa immagine e l'aveva usata per l'etichetta di un suo vino.
Ma quell'etichetta, con quell'immagine su cui la seconda azienda vinicola vantava diritto d'uso, poteva creare rischio di confusione con la prima cantina, che l'aveva usata per 20 anni, nonostante allo stato fossero (e non potessero che essere) diverse.
Bel grattacapo, che la Corte decise in favore della prima azienda vinicola, non senza destare perplessità da parte di alcuni addetti ai lavori.

Rischiamo di trovarci una bionda e nuda Paris Hilton sull'ettichetta dei prosecchi di Conegliano-Valdobbiadene?
Che almeno non ce lo mettano in lattina!!!!!

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martedì 13 gennaio 2009

Il copyright tra il telefono ... e il filo

Ovvero, quando c'era solo il copyright

C'è stato un tempo che amavo le e-mail.

Intraprendevo corrispondenze fittissime anche con chi abitava a pochi isolati da casa mia.
Mi piaceva poter alternare la mia torrenzialità alla mia capacità di essere telegrafica senza che nessuno potesse interrompermi, interrompere il filo dei miei pensieri, o impormi nell'immediato ulteriori riflessioni su quello che stavo dicendo. C'era la connessione dial up, per cui ciccia: “Mica sto sempre lì col ditino a cliccare su scarica posta, e poi di nuovo su ok quando mi chiede «questo computer sta cercando di connettersi ad internet, connettersi ora?»”
Che poi non era neanche vero. A volte cliccavo su scarica posta in modo convulsivo, nella speranza che arrivasse la sospirata risposta alla mail che avevo appena spedito … che spesso non c'era.
Così come era successo per le lettere, (quando non esistevano i contratti hello forfait o come si chiama ora, e non potevi stare le ore al telefono senza doverti poi sorbire l'incazzatura all'arrivo della bolletta telefonica ... ma anche semplicemente perché era bello scriversi le lettere), i miei “amori” passavano attraverso le mail.
Che tanto l'incazzatura all'arrivo della bolletta telefonica c'era lo stesso: si pagava a connessione!
Eh, [ma] il telefono, la voce, il suo suono, e i silenzi, che per mail e per lettera non sei tu a decidere … dovevo inventarmi qualcosa!
“Prima che tu dica pronto”!
Una volta l'avevo letto al telefono, come favola della buona notte...c'erano un sacco di cose legate a quel brano.
“Spero che tu sia rimasta accanto al telefono, che se qualcun altro ti chiama ...” Aveva un senso. Il doppio click speranzoso che cercava una risposta e “le fatiche dell'indice inchiodato alla ruota, le incertezze dell'orecchio incollato alla buia conchiglia”.
Ero molto rudimentale, molto poco attrezzata. In pratica non avevo "nulla": La mia musica, (cioè quella che a me piaceva), il libro, uno stereo, un computer, ovviamente debitamente distanti ... e la mia voce. Dovevo procurarmi un microfono con un cavo lungo, perché dovevo leggere vicino alle casse, tenendo la musica bassa bassa, altrimenti non si sentiva la voce, e il libro in mano …. e fare attenzione a girare le pagine del libro …
Però, alla fine, dopo non so quante prove, ce l'ho fatta. Ah, la musica: “three words” eseguita da Brad Mehldau.
Ce l'ho fatta e ne ho fatto un file, da inviare rigorosamente di sera, che costava meno.
E poi ci ho preso gusto, e ho iniziato sempre più a inviare pensieri di questo genere, di ogni genere. Una volta ho anche provato a leggere un libro intero (“Natura morta con custodia di Sax” di Geoff Dyer). Ma, in quel caso, visto il silenzio del destinatario, una volta finita la storia di Pres e Lady (Lester Young e Billie Holiday, cap. 1) ho lasciato perdere.
Un amico apprezzò l'idea al punto da suggerirmi di realizzare un podcast di me che leggevo.
Lo spunto mi allettava: un caro amico aveva da poco scoperto che la sua bimba era cieca, e leggere le favole per lei e per gli altri bimbi come lei …

Ma ecco che subito, con la sua mannaia, giunse LUI, a distruggere i miei sogni: il COPYRIGHT!
Antonio aveva scoperto le Creative Commons, le licenze some rights reserved che ti permettono di utilizzare liberamente le opere ad alcune condizioni, come ad esempio l'indicazione della paternità.
Ma erano diffuse ancora solo in America. Per la musica poteva andar bene, ma per i brani?
Le "invisibili vestali" di Calvino non potevano aiutarmi a combattere questa "battaglia invisibile contro una fortezza invisibile (!)": il diritto d'autore buttava giù senza neanche bisogno di soffiare il mio castello di carte (o era "dei destini incrociati"?).

Oggi, finalmente, le Creative Commons sono una realtà che prende sempre più forma e sostanza, al punto che perfino in SIAE si è costituito Gruppo di Lavoro Giuridico misto, composto da rappresentanti della SIAE e da esponenti del Gruppo di Lavoro Giuridico di Creative Commons Italia, tra cui la mia amica Deborah De Angelis, per permettere l'incontro tra la Società Autori ed Editori e coloro che hanno optato per questo genere di licenze, e che proprio la settimana scorsa si è incontrato per la prima volta.
Parlando con Simone Aliprandi, collega, eclettico autore di opere che spaziano da pubblicazioni scientifiche a musica, poesia, teatro, grafica, e che rilascia TUTTE le sue opere sotto licenza Creative Commons (e di cui sono “spontanea” fan su Facebook), non ricordo a che proposito, mi ha manifestato la sua intenzione di organizzare una lettura delle sue poesie per i non vedenti.
E il castello è tornato su ...

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sabato 10 gennaio 2009

Barbara Millicent Roberts

Ovvero: con cosa potrebbe innaugurare il suo blog una donna se non con una dedica alla bambola più conosciuta del pianeta?

In tutte le case dovrebbero esistere quelle che io chiamo "riviste gabinetto".
Non in quanto siano da considerare come carta assorbente (oddio, alcune anche sì!), ma perché stanno bene lì, ti aiutano ad ingannare il tempo.
Il non plus ultra è, ovviamente, La Settimana Enigmistica.
Ma non ci stanno male neanche il Venerdì e Donne di Repubblica.
Per noi dandy che la mattina troviamo il giornale dietro la porta di casa (per il latte di mucca appena munto non sono ancora riuscita ad organizzarmi, ma ora che il centro è diventata zona a traffico limitato il trattore dovrebbe avere meno difficoltà a passare per le strade) il sabato è un giorno meraviglioso.
Oggi, però, non ho trovato Donne.
Uff, niente oroscopo pseudopsicomusifilopoetico ... e niente lettere a Galimberti.
Velvet mi sembra faccia molto più il vezzo a quelle riviste patinate stile Vogue, che proprio non mi vanno giù (meglio un bel pettegolezzo alla Oggi!). Ma quello passa il convento, e tant'è.

Lo sfoglio svogliatamente e mi imbatto quasi subito in Lei.
Un servizio di otto pagine!
L'intramontabile semprebionda Barbie (fatte salve le edizioni multietniche della bambola più politically correct del pianeta ... !) compie 50 anni!
Sorrido pensando che proprio martedì Luisa, 5 anni, mi è venuta ad aprire la porta entusiasta stringendo in mano il suo nuovo e splendente Maggiolino rosa.
Amata e desiderata Barbie ... e odiata!
Tanto che sul fenomeno più chiaccherato del momento, il social network Facebook, qualcuno si è preso la briga di creare un gruppo dal titolo "GRUPPO PER LA SOPPRESSIONE DELLE BARBIE", con esilaranti immagini dal contenuto altamente splatter.
Chissà cosa ne pensa la Mattel!
La Mattel, che ha legato stretto stretto il suo nome a quello del marchio Barbie, al punto da giocarci gran parte della sua comunicazione sperimentale arrivando addirittura a dipingere di rosa un'intera strada di Salford, Inghilterra, nel 1997, per il Mese Rosa di Barbie (tutto tutto: case, serrande, alsfalto, cassonetti ...) ... nello stesso anno in cui gli Aqua uscivano con Barbie Girl, a far da sinonimo a "ragazza svampita"...
... e nel 2002 la Mattel perdeva contro gli Aqua (aveva agito per diffamazione, violazione di copyright e volazione di marchio) perchè la canzone veniva riconosciuta dal giudice protetta come parodia in base al primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.
Ma ci sono anche i successi di Barbie, come la riassegnazione in favore della Mattel del nome di dominio barbie.it, registrato dal sig. Scognamiglio, il quale ha continuato fino all'ultimo ad affermare i suoi diritti (in quanto diminuitivo comune del nome Barbara, personaggio di cui la rivista vantava di detenere i diritti).
Sacrosanto!
Anche se nel 2006 in Canada, quasi per le stesse motivazioni (abbreviativo del nome di donna), la catena di ristorazione Barbie's Bar&Grill non ha dovuto cambiare il proprio nome: la Corte non ha riconosciuto la notorietà del marchio della bambola al punto da potersi configurare confondibilità tra lo stesso e la catena di ristorazione ... e il marchio Barbie's & Design.
E c'è la più famosa causa per violazione di copyright e segreto industriale contro le bambole Bratz, la cui produzione (e sempre maggior successo) è stata ritenuta origine del calo di vendite (!) della bambola più famosa del mondo, che la Mattel ha vinto nel luglio 2008 e che proprio far data dal geneltiaco di Barbie (marzo 2009) dovrebbero essere tolte dal commercio.

Pochi giorni fa la Befana ha reso felice Luisa regalandole il tanto ambito Maggiolino rosa.
Un quarto di secolo fa io chiedevo una Barbie come corrispettivo a una visita dal dentista (ebbene sì, faccio parte del branco!)
Mezzo secolo fa Barbie nasceva, ispirata da un'altra bambola, la tedesca Bild Lilli.

Chissà se oggi si userebbe il sostantivo ispirazione per definire la molla della nascita di Barbie ...

(foto di VerseVend)

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Quando una certa serie di condizioni si verifica, allora avvertiamo lo scatenarsi di un fenomeno

Poco più di un mese fa ho ricevuto una mail da register.it:

"Gentile Adriana Augenti,

ti inviamo questo messaggio per ricordarti di controllare l'aggiornamento dei dati associati alla registrazione del tuo dominio.

Il nostro database riporta attualmente le seguenti informazioni:

(...)"

Il fatto è, per dirla tutta, che io non sapevo di avere un dominio MIO!

Sì, era proprio mio quel dominio, ma non avevo accesso al pannello di controllo, essendo un regalo perso nella notte dei tempi.

La cosa più divertente, in tutta questa storia, è che la stessa sera, cioè a distanza di poco più di otto ore dal ricevimento della mail incriminata, io avrei dovuto tenere una lezione su Oilproject, la prima scuola gratuita di informatica on line, ed avrei dovuto tenerla su ... i nomi di dominio.

Quel dominio è ancora lì, non so cosa ne sarà di lui,

e io sono qui, perché tutti gli altri posti erano già occupati ...

... ma non ho ancora capito che parte è!

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