martedì 13 gennaio 2009

Il copyright tra il telefono ... e il filo

Ovvero, quando c'era solo il copyright

C'è stato un tempo che amavo le e-mail.

Intraprendevo corrispondenze fittissime anche con chi abitava a pochi isolati da casa mia.
Mi piaceva poter alternare la mia torrenzialità alla mia capacità di essere telegrafica senza che nessuno potesse interrompermi, interrompere il filo dei miei pensieri, o impormi nell'immediato ulteriori riflessioni su quello che stavo dicendo. C'era la connessione dial up, per cui ciccia: “Mica sto sempre lì col ditino a cliccare su scarica posta, e poi di nuovo su ok quando mi chiede «questo computer sta cercando di connettersi ad internet, connettersi ora?»”
Che poi non era neanche vero. A volte cliccavo su scarica posta in modo convulsivo, nella speranza che arrivasse la sospirata risposta alla mail che avevo appena spedito … che spesso non c'era.
Così come era successo per le lettere, (quando non esistevano i contratti hello forfait o come si chiama ora, e non potevi stare le ore al telefono senza doverti poi sorbire l'incazzatura all'arrivo della bolletta telefonica ... ma anche semplicemente perché era bello scriversi le lettere), i miei “amori” passavano attraverso le mail.
Che tanto l'incazzatura all'arrivo della bolletta telefonica c'era lo stesso: si pagava a connessione!
Eh, [ma] il telefono, la voce, il suo suono, e i silenzi, che per mail e per lettera non sei tu a decidere … dovevo inventarmi qualcosa!
“Prima che tu dica pronto”!
Una volta l'avevo letto al telefono, come favola della buona notte...c'erano un sacco di cose legate a quel brano.
“Spero che tu sia rimasta accanto al telefono, che se qualcun altro ti chiama ...” Aveva un senso. Il doppio click speranzoso che cercava una risposta e “le fatiche dell'indice inchiodato alla ruota, le incertezze dell'orecchio incollato alla buia conchiglia”.
Ero molto rudimentale, molto poco attrezzata. In pratica non avevo "nulla": La mia musica, (cioè quella che a me piaceva), il libro, uno stereo, un computer, ovviamente debitamente distanti ... e la mia voce. Dovevo procurarmi un microfono con un cavo lungo, perché dovevo leggere vicino alle casse, tenendo la musica bassa bassa, altrimenti non si sentiva la voce, e il libro in mano …. e fare attenzione a girare le pagine del libro …
Però, alla fine, dopo non so quante prove, ce l'ho fatta. Ah, la musica: “three words” eseguita da Brad Mehldau.
Ce l'ho fatta e ne ho fatto un file, da inviare rigorosamente di sera, che costava meno.
E poi ci ho preso gusto, e ho iniziato sempre più a inviare pensieri di questo genere, di ogni genere. Una volta ho anche provato a leggere un libro intero (“Natura morta con custodia di Sax” di Geoff Dyer). Ma, in quel caso, visto il silenzio del destinatario, una volta finita la storia di Pres e Lady (Lester Young e Billie Holiday, cap. 1) ho lasciato perdere.
Un amico apprezzò l'idea al punto da suggerirmi di realizzare un podcast di me che leggevo.
Lo spunto mi allettava: un caro amico aveva da poco scoperto che la sua bimba era cieca, e leggere le favole per lei e per gli altri bimbi come lei …

Ma ecco che subito, con la sua mannaia, giunse LUI, a distruggere i miei sogni: il COPYRIGHT!
Antonio aveva scoperto le Creative Commons, le licenze some rights reserved che ti permettono di utilizzare liberamente le opere ad alcune condizioni, come ad esempio l'indicazione della paternità.
Ma erano diffuse ancora solo in America. Per la musica poteva andar bene, ma per i brani?
Le "invisibili vestali" di Calvino non potevano aiutarmi a combattere questa "battaglia invisibile contro una fortezza invisibile (!)": il diritto d'autore buttava giù senza neanche bisogno di soffiare il mio castello di carte (o era "dei destini incrociati"?).

Oggi, finalmente, le Creative Commons sono una realtà che prende sempre più forma e sostanza, al punto che perfino in SIAE si è costituito Gruppo di Lavoro Giuridico misto, composto da rappresentanti della SIAE e da esponenti del Gruppo di Lavoro Giuridico di Creative Commons Italia, tra cui la mia amica Deborah De Angelis, per permettere l'incontro tra la Società Autori ed Editori e coloro che hanno optato per questo genere di licenze, e che proprio la settimana scorsa si è incontrato per la prima volta.
Parlando con Simone Aliprandi, collega, eclettico autore di opere che spaziano da pubblicazioni scientifiche a musica, poesia, teatro, grafica, e che rilascia TUTTE le sue opere sotto licenza Creative Commons (e di cui sono “spontanea” fan su Facebook), non ricordo a che proposito, mi ha manifestato la sua intenzione di organizzare una lettura delle sue poesie per i non vedenti.
E il castello è tornato su ...

1 commenti:

Anonimo,  15 gennaio 2009 alle ore 12:42  

Eri bacchetta magica

Può darsi che tu riesca a decifrare dall'inciso che da il titolo a queste righe il testo di una vecchia canzone proiettata fra l'essere ed il non essere, fra ciò che siamo, ciò che vorremo essere e come siamo visti dagli altri. Autoreferenziali e sempre alla ricerca dell nastra felicità? forse e non sempre, talvolta.

Mi riferisco alle cose che facciamo per gli altri e che spesso hanno dentro la volontà di farle per noi stessi, per il nostro bene. E come potrebbe essere altrimenti se continua a vivere (e vive) l'evangelico imperativo (forse categorico) voler bene agli altri come a se stessi. E tuttavia questo essere proiettati fuori di noi può avvenire in maniera caritatavole (come nelle vecchie tradizioni: non sappia la mano destra quello che fa la sinistra, ovvero attraverso la questua).

Chi ha avuto gravi perdite o separazioni traumatiche sa che occorre del tempo per elaborare il lutto e che la fine dell'elaborazione spesso sfocia nella capacità di generare nuovi rapporti e la capacità di farsi aiutare ed aiutare gli altri.

Talvolta l'esternalizzazione è contestuale all'atto, spesso si palesa a distanza di termpo per caso ovvero perchè l'iter è più complesso.

Ci sono casi in cui il lutto ci segue (in forma attenuata) per tutta la vita con manifestazioni sopra le righe talvolta non comprese. Non comprese ma dagli altri e intuite solo da chi per volere del fato è passato attraverso eventi non semplici.

E arriviamo al dunque. Al volere o poter fare il bene degli altri (e proprio) attraverso processi di abilitazione delle nuove tecnoligie. Il valore della rete (anche in questo caso) è doppio: è lo strumento di abilitazione del messaggio ma è anche strumento stesso. Lo stesso ruolo del settore trasporti, soggetto economico autonomo e infrastruttura che permette il movimento di persone e merci.

E non aggiungo altro. Le cose essenziali le hai scritte tu.

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